La mia auto fila sul lungoargine che è un piacere, e i miei vecchi compagni di viaggio, Dose e Presta, mi tengono compagnia come sempre con Il ruggito del coniglio, che è l’unica superstite delle grandi trasmissioni mattutine di Radio 2. Stanno lanciando una delle domande che danno il tema alla puntata:
– E voi, amici, raccontateci del vostro consiglio non richiesto…
Ascolto gli interventi di un paio di persone fortunate che sono riuscite a prendere la linea, poi cambio canale per evitare di sorbirmi il giornale radio; di prassi metto una stazione che trasmette musica datata, stanno passando Montagne Verdi, di Marcella Bella: d’un balzo mi ritrovo catapultato nel giardino della casa dove abitavo quando andavo alle elementari.
Rivedo la dirimpettaia alla finestra che lava i piatti; era una donna che mi sembrava alta, con una vistosa chioma nera cotonata quando non era avvolta in uno chignon a triplo strato come quello di Nonna Papera, ma di solito sembrava più Moira Orfei. La sento chiamare i figli muggendo, con una voce che sembra quella di Paolo Poli quando fa la voce maschia: “Paaaaaeeeeaaooooola! Toooooogno!” (per fortuna lui mi aveva detto di chiamarsi Antonio). Non ho mai saputo il loro cognome; mia madre li aveva catalogati molto in fretta: “Sono feccia”. La signora era una precisetta affettata, di quelle che vanno nell’orto a raccogliere i pomodori con le scarpe col tacchetto e in punta dei piedi per non sporcarsi con la terra; aveva dei modi che avrebbero dovuto distinguerla dal resto dei vicini, che erano dei semplici villici mentre lei era la moglie di un impiegato delle poste. Lei, che apostrofava il fruttivendolo ambulante che passava nel quartiere muggendogli dalla finestra, come faceva con i bambini: “Ortolaaaaaaaanooooo”. Dalla finestra; mentre noi uscivamo da casa per andare in strada a far la spesa nel suo ape car, lei lo chiamava dalla finestra: io a dieci anni sapevo che i cavolfiori non devono essere morbidi se son freschi, che i carciofi troppo grossi avevano il cuore con la barba, e che le banane con le macchie scure erano mature al punto giusto per essere mangiate subito o mantecate con zucchero e limone. Lo sapevo perché andavo da lui a far la spesa e non mi sarei mai sognato di chiamarlo “ortolano”, che mi sembrava tanto una parolaccia. Lui non mi chiamava “bambino”, era gentile anche se non ho mai saputo come si chiamasse. Per mia madre era “il fruttarolo”, non aveva un nome. Ma mai l’ortolano.
Con la famigliola dei vicini viveva anche la mamma di lui, che detestava la nuora con tutte le sue forze come si fa nella migliore delle tradizioni. Non che la nonna fosse una donna di carattere facile, sarebbe stato troppo bello. Noi e dirimpettai avevamo lo stesso giardiniere, un pensionato che si guadagnava due lire sistemando i giardini del quartiere: un vecchio contadino che riusciva a far fare alle piante tutto quello che voleva. Spesso si lamentava con mia madre che la suocera della dirimpettaia lo asfissiava, quando lui sistemava le piante dei pomodori e le fissava ai tutori c’era sempre la nonna a due o tre piante di distanza, la quale puntualmente slegava e risistemava quelle che lui aveva appena fatto. È lecito supporre che la nuora ricambiasse la scarsa stima che la suocera le tributava, spesso si sentivano le due donne litigare quando c’erano le finestre aperte.
Ricordo perfettamente un pomeriggio, il marito stava raccogliendo delle patate nell’orto assieme alla madre, io correvo in bicicletta quasi davanti a loro. Nel silenzio generale la nonna, d’improvviso, senza nemmeno alzarsi dalla sua posizione chinata e pertanto senza rivolgere la parvenza di uno sguardo al figlio, disse solo tre parole perfettamente udibili da tutto il vicinato: “Divorzia, caro. Divorzia!”.
Eravamo nel 1974, pochi mesi dopo lo storico referendum abrogativo.
stanotte ho sognato che era il mio compleanno. mia madre invitava le persone che mi sono più antipatiche, faceva insomma del mio evento il suo evento. ci siamo fatte un sacco di risate quando le ho raccontato il sogno e le ho rinnovato il mio affetto per essere così dannatamente speciale e ingombrante.
giudicare. giudicare le persone. dicono che non sia bello, non sia sano, non sia educato. io dico che si fa un pò tutti e soprattutto non è una condanna definitiva passati i tre gradi di giudizio. le persone smettono di frequentarsi perchè si sono valutate e messe alla prova, poi si sceglie di fare il giusto senza g maiuscola, qualche volta ci si sbaglia, molte altre no.
non mi piace il chiacchiericcio, non mi interessano le vicende riportate, non sono pettegola, non sono morbosa, molte persone non mi piacciono a prescindere, alcune mi tocca sopportarle, quelle speciali sono perle, a prescindere. non so perchè non abbia bisogno di collane di perle, non porto collane, mi stringono e mi pesano, in generale provo una sensazione di disagio quando porto una collana, non sono me. preferisco orecchini, non porto neanche la fede, da poco indosso due bellissimi anelli che erano di mia suocera.
sono speciale e malgrado le mille raccomandazioni in rete sul chi come quando dove e perché, non so che partire da me stessa, vedere e descrivere il mondo dal mio punto di vista poco privilegiato. una noia infinita per chi dovesse trovarsi a passarmi accanto, ma a volte anche no.
quindi rinnovo il mio interesse per parlare di quello che mi piace, che mi fa sorridere, che mi fa provare l’emozione gioiosa di essere parte di questo mondo pieno di tantissime persone che si sbattono per essere se stessi, che mi ispira e mi conferma che la felicità esiste, nel momento sbagliato nei modi sbagliati nei luoghi sbagliati nei tempi sbagliati, non sempre non tutti i giorni non tutti i momenti di una giornata o anche solo una volta nella vita ma mai mai.
quindi, io sono. ma anche tu sei ed egli è, e noi siamo, e voi siete, ed essi sono.
la foto è presa da qui.
Signora ministro,
vengo ora a conoscenza delle parole della consigliera Dolores Valandro, suffragate dalle affermazioni della signora Paola Goisis, ex deputata.
Premesso che:
Ne consegue che per la mia naturale diffidenza specialmente verso l’ambiente della politica, e sulla base dello scarso lustro dei ministri dei governi attuali e passati, ho il timore che Lei sia stata scelta come membro del governo più per motivi di immagine che per le Sue idee e i valori nei quali crede, e in tutta franchezza mi dispiace perché nutro la speranza che lei sia lontana dai giri dei vecchi partiti e di quelli nuovi; in sostanza temo che abbiano scelto la persona giusta per motivi sbagliati, e che non appena se ne accorgeranno metteranno in crisi il Suo lavoro.
Con la speranza di vederla a lungo in carica in quanto rappresenta una sorta di vaccino dalla vecchia politica, Signora ministro, La prego di voler gradire l’espressione della mia massima stima.
Mauro Melon
Post scriptum: te vojo ben, Cécile. Grassie!
da 2″e 15